Ieri sono arrivata a Bangkok. Cocò è partito da un paio d'ore e questa penultima serata asiatica la trascorrerò in hotel a scrivere, un po’ sul blog un po’ sulla moleskine. La città, in ogni caso, mi piace da morire. In un certo senso la sento abbastanza vicina a Shanghai e Hong Kong, sembra quasi un mix tra le due: traffico ingestibile, stradoni con sopraelevate e passaggi pedonali, una vegetazione che (quando c’è) è davvero rigogliosa, gli immancabili nonsense architettonici e urbanistici tipicamente asiatici e, infine, il solito caos talmente caotico che sembra quasi ordinato. Dopo i due giorni di navigazione passati sul Mekong nella pace più assoluta temevo l’impatto con la realtà metropolitana e invece devo ammettere che è stata una bella sorpresa. Bangkok ha un che di familiare, mi sento a casa.
Comunque, bando alle ciance, devo fare un passo indietro e riprendere da dove eravamo rimasti. C’è un buco di alcuni giorni da colmare, da attribuire al fatto che, in quel tratto di Laos, era impossibile trovare un internet cafè. D’altra parte, considerato il fatto che 1. il cellulare ha smesso di ricevere più o meno nel momento in cui siamo salpati da Luang Prabang e 2. a Pak Beng, il paesino dove ci siamo fermati la prima notte, l’elettricità funzionava solo dalle 19 alle 22 (cosa che, tra l'altro, ti facevano passare quasi come un lusso)… beh, era facilmente prevedibile che avremmo avuto qualche problema di comunicazione col mondo esterno. La traversata è stata a dir poco fantastica, sicuramente una delle esperienze più intense della mia vita. Io e Cocò siamo stati in quasi totale silenzio per due giorni. Le attività comuni erano costituite dal mangiucchiare qualcosa insieme, passarci la bottiglia dell’acqua e fumare quietamente. Per il resto non facevamo altro che osservare il paesaggio e i laotiani che viaggiavano con noi (gli unici stranieri eravamo noi e due ragazze inglesi robbosissime, come direbbe la Meimei). Ogni tanto un pisolino. E poi silenzio. Vi dirò che è stato stupendo non aver mai avuto bisogno di parlare. Eravamo talmente entrati nella parte che la sera ci risultava difficile ricominciare a conversare normalmente.
Nella totalità delle 20 ore di navigazione abbiamo visto succedersi colline, montagne, villaggi, piccole spiagge. Tutto mentre sul fiume procedevamo da soli, con la nostra imbarcazione semivuota (i vantaggi della bassa stagione: pare che nei periodi di grande affluenza turistica la barca da 40 persone arrivi a caricarne anche un centinaio… ecco, forse in quel caso sarebbe stato il viaggio più brutto della mia vita). Qualche volta incontravamo una piccola barchetta con un pescatore o magari un’imbarcazione un po’ più grande che faceva da spola tra un villaggio e l’altro. Nessuna sosta intermedia era prevista: le nostre mete, Pak Beng la prima sera e Huay Xai la seconda, erano le ultime fermate della giornata. Per il resto, nel corso del viaggio erano contemplati solo rapidi avvicinamenti a delle spiaggette, il tempo di far scendere una, al massimo due persone, e di osservarle mentre venivano accolte da un gruppetto di bambini, scesi appositamente dal paese ad aspettare l’arrivo della barca.
E’ stata un’esperienza di una profondità difficilmente comunicabile: ogni momento aveva il suo significato. Non perché stessimo facendo qualcosa di particolare, semplicemente eravamo presenti e avevamo totale e piena coscienza di quegli istanti. Quando si fa un viaggio come questo ci si rende conto di quanta poca dignità viene normalmente attribuita al tempo.
Vorrei solo che tutta questa serenità mi restasse incollata per sempre.
Nella totalità delle 20 ore di navigazione abbiamo visto succedersi colline, montagne, villaggi, piccole spiagge. Tutto mentre sul fiume procedevamo da soli, con la nostra imbarcazione semivuota (i vantaggi della bassa stagione: pare che nei periodi di grande affluenza turistica la barca da 40 persone arrivi a caricarne anche un centinaio… ecco, forse in quel caso sarebbe stato il viaggio più brutto della mia vita). Qualche volta incontravamo una piccola barchetta con un pescatore o magari un’imbarcazione un po’ più grande che faceva da spola tra un villaggio e l’altro. Nessuna sosta intermedia era prevista: le nostre mete, Pak Beng la prima sera e Huay Xai la seconda, erano le ultime fermate della giornata. Per il resto, nel corso del viaggio erano contemplati solo rapidi avvicinamenti a delle spiaggette, il tempo di far scendere una, al massimo due persone, e di osservarle mentre venivano accolte da un gruppetto di bambini, scesi appositamente dal paese ad aspettare l’arrivo della barca.
E’ stata un’esperienza di una profondità difficilmente comunicabile: ogni momento aveva il suo significato. Non perché stessimo facendo qualcosa di particolare, semplicemente eravamo presenti e avevamo totale e piena coscienza di quegli istanti. Quando si fa un viaggio come questo ci si rende conto di quanta poca dignità viene normalmente attribuita al tempo.
Vorrei solo che tutta questa serenità mi restasse incollata per sempre.
1 commento:
Almeno per un po' te la potrai portare dentro...o chissà ritrovarla da un'altra parte che non ti aspetti!
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